Al Club Busoni si è parlato di economia

Al Club Busoni si è parlato di economia

fpanella in Vita di Club

prof Bini Busoni

Anna Romano

Il Lions Club Empoli Ferruccio Busoni ha avuto il piacere di avere come ospite il Prof. Piero Bini, economista molto noto ed apprezzato. Laureato in economia e commercio ha insegnato presso la facoltà di scienze politiche di Macerata, dove ha svolto numerosi incarichi. Dal 2002 insegna Economia Politica, Storia del pensiero economico e storia e teoria dell’intervento pubblico nell’economia presso l’Università degli Studi di Roma Tre.

Ricopre diversi incarichi e conta collaborazioni scientifiche. I settori maggiormente coltivati sono  : a) il pensiero economico italiano dell’Ottocento e del Novecento; b) la diffusione internazionale delle idee economiche; c) i rapporti tra teoria e politica economica.

Il professore  ha trattato un argomento molto attuale, di grande impatto sull’opinione pubblica: “Capire la crisi: austerità, un nome dai molti significati”.

prof Bini al bus

Il fenomeno crisi non è nuovo nella storia del genere umano, anzi possiamo sostenere che anche i secoli precedenti ne sono stati attraversati, determinando la nascita del debito pubblico, che, a ragione si può considerare la prima ed indiscutibile causa della crisi economica.

Infatti, tre secoli fa il finanziamento delle guerre ha provocato un enorme buco nelle casse degli stati belligeranti ; alla fine dell’Ottocento i primi provvedimenti a favore del welfare state hanno determinato un consistente impoverimento della finanza pubblica.

In Italia la sua unificazione è costata un prezzo molto elevato, perché bisognava creare uno stato dal nulla e la destra, allora al Governo con Quintino Sella, ha affrontato il problema imponendo una odiosa tassa sul macinato, cosa che ha permesso al ministro di raggiungere il pareggio del bilancio, ma ha segnato la fine del suo mandato.

Nel 900, più precisamente, negli anni 30, c’è stata la grande depressione con il crollo di Wall Street, cuore della finanza mondiale.

A seguire negli anni 70 a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio si è verificata una stagnazione dell’economia nei paesi importatori.

Negli anni 80 avviene un capovolgimento nella politica economica sulla base della teoria Keynesiana, la quale si fonda sull’offerta e non sulla domanda, che è stata il perno del liberismo economico.

Gli anni 90 fino al duemila sono stati caratterizzati da una certa stabilità dei prezzi e una diminuzione dei tassi d’interessi, ma a causa del forte movimento di capitali internazionali si sono formate bolle speculative, soprattutto nel mercato immobiliare, dando inizio alla grande recessione.

La prima risposta di uno stato alla crisi è, dunque, una politica di austerità, una parola dai mille significati.

Il concetto di austerità è legato al concetto del debito pubblico, che aumenta quando uno stato è in deficit e sfora il bilancio.

Allora questo risponde mettendo in atto una politica di taglio delle spese pubbliche e di aumento delle tasse, promettendo maggiori interessi in favore dei risparmiatori, ma determinando un circolo vizioso che culmina nella non sostenibilità del debito pubblico.

Gli economisti parlano di modi diversi di austerità:

1) austerità Keynesiana, che sostiene che la diminuzione delle spese e l’aumento delle tasse danno luogo alla deflazione cumulativa, che impone comportamenti virtuosi a famiglie ed imprese, ma è un metodo distruttivo per la macroeconomia.

2) austerità conflittuale, seguita da politici ed economisti di sinistra che sostengono che è un’invenzione  del capitalismo ed è come il braccio economico della borghesia a potere per dominare;

3) austerità espansiva, che sostiene la riduzione del deficit pubblico tramite il taglio delle spese, la realizzazione di riforme strutturali e la diminuzione della burocrazia per dare fiducia alla popolazione, invogliandola a ricominciare a spendere;

4) austerità obbligata, è quella che percorre una strada senza alternative, rinvia le riforme e produce effetti negativi con perdita di competitività, nel contesto internazionale; si limita ai soli strumenti di pronto intervento con l’aumento delle tasse e la restrizione del credito, espressione di una classe politica inerte e dannosa.

Allora oggi come fare ad uscire dalla crisi? Innanzitutto correggendo gli errori fatti al momento della nascita dell’unione monetaria europea, che prescinde dall’unità politica, perciò si può ammettere, a ragion veduta, che è incompleta ed insoddisfacente.

Occorre, quindi, unità politica per regolamentare gli squilibri dei sistemi economici diversi e creare un motore interno ai vari paesi per la loro crescita.

Oggi le disuguaglianze distributive del reddito non favoriscono la crescita antropologica, dell’italianità, che deve volgere innanzitutto verso il senso civico.

E’ necessario escludere l’omologazione, ma procedere sulla via delle riforme, rispettando gli aspetti antropologici, culturali, economici e politici dei popoli, evitando, per questo, la soluzione univoca dei problemi, perché non sarebbe valida per tutti.

Pertanto uno stato non può considerarsi modello per gli altri, come tende a fare la Germania, la quale continua ad effettuare una politica imperialista, che non fa sempre le scelte giuste e non aiuta gli altri paesi, basando la sua economia sull’esportazione e non sull’importazione.

In definitiva, ciascuno dei quattro concetti di austerità offre suggerimenti validi per fare ripartire l’economia, ma, durante la recessione, bisogna ricorrere soprattutto all’austerità espansiva per uscire dalla stagnazione dell’economia e combattere l’inflazione.

 

 

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